Da L’Inchiesta Quotidiano del 26 agosto 2021 (vai)
di Cesidio Vano
Ogni anno, un intero mese senz’acqua. La (pessima) gestione del servizio idrico integrato in provincia di Frosinone fa registrare un nuovo record: ogni 11 mesi l’erogazione del servizio si ferma per quasi 30 giorni. E’ come se, per capirci, ogni anno dal 31 gennaio tutte le condotte restassero a secco per tornare a erogare l’acqua solo il successivo primo marzo. Ventotto giorni ogni anno di completa siccità, in ogni comune del territorio, in ogni casa, per ogni rubinetto.
Il dato, che non ha eguali nel Lazio e che difficilmente trova paragoni nel resto della Penisola, è certificato dallo stesso gestore idrico Acea Ato 5 Spa con la relazione sulla qualità tecnica del servizio. Ed Acea, invece di correre ai ripari e individuare azioni risolutive per il Frusinate, nello stesso documento inizia lamentarsi dei problemi che ha… Roma!
Il più delle volte, quando si parla della qualità della gestione idrica, si fa riferimento, oltre all’onerosità delle tariffe, alla percentuale di perdite idriche, che in provincia di Frosinone – al di là dei giochetti con i fogli Excel – resta da primato nazionale: 76,15% nel 2020! In pratica, buttiamo via tre volte l’acqua di cui abbiamo veramente bisogno. Ma ci sono diversi altri parametri che concorrono a stabilire quanto bene sia svolto il servizio e tra questi, appunto, la durata delle interruzioni dell’erogazione. E’ quello che gli addetti al settore chiamano “macro-indicatore M2”.
Giusto per fissare il concetto: il macro-indicatore M2 rappresenta il valore dato dalla sommatoria della durata di tutte le interruzioni di erogazione dell’acqua (improvvise o programmate) avvenute in un anno ed espresse in ore, moltiplicata per il numero degli utenti che hanno subito l’interruzione rapportati al totale degli utenti servizi.
Al di là della complessa definizione matematica del parametro, basta sapere che nel 2020 il valore di riferimento dell’M2 per l’Ato 5 di Frosinone (dati 2019) è stato di 653,11 ore. Tutto il territorio della provincia di Frosinone ha subito quindi 653 ore di interruzione idrica: cioè, in un anno, per oltre 650 ore, ovvero per quasi 28 giorni, tutte i Comuni e tutte le famiglie dell’Ato 5 sono rimaste senza un goccio d’acqua.
Il dato, però, rischia di esser stimato al ribasso. L’onere di tener traccia di ogni interruzione e di quantificarne la popolazione interessata ricade sul solo gestore: è, cioè, Acea Ato 5 a dire quando e a chi è mancata l’acqua, fornendo i dati per il calcolo. All’Ente d’Ambito spetta la convalida di quei numeri e il controllo: come e con quali strumenti non è dato sapere e finora – tranne qualche ispezione sui registri fatta in passato – anche la Sto si limita a recepire il dato calcolato da Acea a rendiconto di gestione. Insomma, è come chiedere all’oste se il vino è buono.
Il problema della vigilanza sulla completa correttezza e attendibilità di questi dati è da quest’anno anche più pressante poiché, dal 2021, la scarsa performance dell’indicatore M2, che viene valutata anche in considerazione della disponibilità di risorse idriche (ed abbiamo visto che di acqua in Ciociaria ce ne è 4 volte il necessario), dovrebbe comportare per il gestore l’applicazione di una serie di sanzioni e penalità oltre che, a determinate condizioni, l’indennizzo automatico in bolletta degli utenti lasciati a secco.
Come è accaduto, però, per le perdite idriche – che Acea ha annunciato di aver tagliato del 10% dal 76,15 a 68,36% non riparando i tubi colabrodo ma semplicemente spostando nelle operazioni di calcolo 6 milioni di metri cubi d’acqua da una voce ad un’altra (sic!) – c’è anche qui il concreto rischio che la riduzione dei parametri deficitari avvenga non tramite l’ottimizzazione e l’efficientamento della gestione ma solo grazie a qualche trucchetto computazionale.
Acea afferma che i propri sistemi di registrazione dei dati sono certificati e questo ne dovrebbe garantire la correttezza, ma l’attività di controllo da parte dell’Ente d’ambito è comunque prevista e andrebbe parimenti codificata.
Ad ogni modo, la superficialità con cui il gestore affronta l’argomento appare tragicomica: non si comprende bene, infatti, perché nel bel mezzo del paragrafo della relazione sulla qualità tecnica rappresentata dal parametro M2 in Ciociaria si inizi a parlare delle difficoltà che ha Roma (Roma!), con l’applicazione di un simile sistema di misurazione e calcolo, scrivendo che “la rete a servizio della città di Roma non è paragonabile con le reti a servizio di piccoli comuni in termini di estensione, vetustà e presenza di utenze speciali (ambasciate, ministeri, Città del Vaticano, ospedali, etc..)”. Che abbiano copiato da qualche altro documento? Se sì, hanno copiato pure male. A meno che per “ambasciate e ministeri” non ci si volesse riferire alla sede del Principato di Filettino e per “Vaticano” alla concorrente Chiesa del Bambinello di Gallinaro (ché pure qui c’abbiamo il papa, eh!). Ma basta scorrere la relazione poche righe più avanti per capire che il testo, molto probabilmente, è stato davvero saccheggiato da qualche altro scritto di Ato 2, perché si legge ancora: “Si riterrebbe congruo che venissero previste forme di flessibilità in sede di prima applicazione degli standard specifici e generali (…), al fine di non penalizzare i soggetti come Acea Ato2 che gestiscono reti di Acquedotti/Adduzione…”. Che c’azzecca Ato 2?
Un mese senz’acqua ogni anno. Il problema resta. E la superficialità con cui viene affrontato non lascia certo ben sperare.