Ciociaria, il Dossier. Rifiuti tossici: allarme rosso sottovalutato per oltre 16 anni


rifiuti1Da La Provincia Quotidiano del 29 gennaio 2014

di Cesidio Vano
«In Ciociaria è “allarme rosso” per le infiltrazioni delle ecomafie e lo smistamento illegale di rifiuti pericolosi e tossici».
L’avvertimento è vecchio di quasi 17 anni. Ma non ha sortito alcun effetto ed oggi, in provincia di Frosinone, siamo a fare i conti con l’avvelenamento della Valle del Sacco, gli sversamenti nel suolo e nel sottosuolo provenienti da varie discariche, l’improvvisa scoperta del sotterramento di fusti, fanghi e sostanze nocive in numerose zone e territori.
Inchieste parlamentari, indagini delle procure, accertamenti degli organi regionali hanno arginato solo marginalmente il fenomeno. Quella frase, che abbiamo ricordato all’inizio, è stata pronunciata il 27 ottobre del 1997 dal presidente dell’allora Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Massimo Scalia, rivolto al prefetto di Frosinone dell’epoca, Francesco Marino ed al questore Antonio Mastrocinque, nel corso dell’audizione svoltasi a Frosinone oltre 16 anni fa.

“Allarme rosso”
Come abbiamo già anticipato nell’edizione di ieri, nel corso di quell’incontro, rivolgendosi ai responsabili della sicurezza e dell’ordine pubblico Scalia li avvertì del fatto che «è purtroppo a conoscenza di questa Commissione che agiscono anche in provincia di Frosinone iniziative che hanno il forte controllo del clan dei Casalesi. Vi sono forti indizi in questo senso, per cui richiamo la massima attenzione sul fatto che, laddove si fanno scavi per ricavare materiali necessari alla realizzazione di grandi opere… vi possono essere gravi alterazioni. Gravi alterazioni possono altresì esservi direttamente nella gestione dei cantieri. Di più non posso dire, ma segnalo la questione con “allarme rosso” al prefetto e al questore».
La camorra, insomma, aveva allungato i suoi tentacoli verso la Ciociaria dove la presenza di cave e la realizzazione della linea Tav offrivano ghiotte occasioni per nascondere ed interrare sostanze nocive. Società gestite dalla malavita organizzata risolvevano così il problema di smaltimento di grandi aziende del Nord Italia ed anche internazionali.

Traffici illeciti
Nella relazione finale dedicata al Lazio, nel 1998 la Commissione d’inchiesta scrive: «Il territorio del Lazio è risultato particolarmente interessato dai traffici illeciti di rifiuti, sia per la presenza di zone morfologicamente adatte al loro occultamento che per la vicinanza con quelle aree della provincia di Caserta dove questa Commissione ha già registrato virulente presenze criminali in questo settore. Si è avuto modo di constatare direttamente il modus operandi di società commerciali attive nello stoccaggio abusivo di rifiuti pericolosi e collegate ad organizzazioni criminali dedite alla commissione di reati nel ciclo dei rifiuti». E più avanti spiega: «Dalla magistratura è arrivata ulteriore conferma del fatto che il Lazio ha ampie porzioni di territorio ad alto rischio di inquinamento ambientale per avere subito, nel recente passato, sversamenti ed interramenti di sostanze pericolose e per ricoprire ancora oggi un ruolo strategico nelle attività criminali specifiche dei traffici illegali di rifiuti», rivelando il sistema utilizzato: «Alcune imprese hanno falsamente garantito questa modalità di smaltimento ad enti locali produttori dei rifiuti, assicurando che gli stessi sarebbero stati trasferiti in impianti di recupero e trattamento (nella specie, nel Lazio) in realtà nati solo per trarre vantaggio da tale operazione, non avendo mezzi e manodopera per praticare l’attività di recupero e trattamento. Gli impianti sono stati utilizzati per il cosiddetto “giro di bolla”; la bolla d’accompagnamento dal produttore arriva all’impianto con destinazione recupero; da qui, lo stesso quantitativo di rifiuti, con la qualifica di rifiuti prodotti dal Lazio, sarebbe dovuto ripartire per terminare in una discarica della regione, aggirando il contingentamento delle discariche e consentendo l’arrivo nel Lazio di rifiuti prodotti dal settentrione (Lombardia), che altrimenti non sarebbero potuti giungere».

Campanelli d’allarme in Ciociaria
Nel paragrafo dedicato alla situazione della Ciociaria, la Commissione aziona più campanelli d’allarme segnalando tutti gli episodi di cui è venuta a conoscenza e che prospettano un futuro affatto roseo per l’ambiente nella nostra provincia:
«Nella provincia di Frosinone sono state anche recentemente rinvenute discariche abusive di rifiuti di diversa tipologia. Ad Isoletta d’Arce sono stati rinvenuti materiali stoccati in silos e cisterne che presentano già segni d’usura, suscitando quindi ulteriori preoccupazioni per quanto riguarda i danni ambientali; a Pontecorvo, i rifiuti tossico-nocivi (solventi), contenuti in fusti interrati in discarica, sono risultati provenire anche da un vicino stabilimento Fiat; a Castelliri, coinvolti nella vicenda giudiziaria sono taluni personaggi che sono risultati organizzati stabilmente in una serie di società dedite ad attività illecite nel ciclo dei rifiuti. Ancora: nelle campagne di Pontecorvo e nella zona di Cassino sono state scoperte ben otto tonnellate di scorie (ossido di zinco misto ad ammoniaca) provenienti da impianti produttivi del nord, secondo un sistema già riscontrato nella zona del casertano e per il quale si rimanda alla relazione che questa Commissione ha dedicato alla situazione campana. Ma l’episodio più grave è quello verificatosi nel territorio di Arpino, dove si ritiene assai probabile la presenza di rifiuti pericolosi interrati e ricoperti da una gettata di cemento, sulla quale è stato successivamente costruito un parcheggio: esiste il sospetto che sia stato così occultato l’interramento di un enorme quantitativo di rifiuti pericolosi, e le modalità d’occultamento rendono assai difficile il loro recupero e l’eventuale bonifica del sito. La provincia di Frosinone sembra essere divenuta nel corso degli anni uno dei centri nodali degli smaltimenti illeciti di rifiuti, come testimonia il fatto che indagini avviate in quest’area si siano in un secondo momento intrecciate con quelle condotte dalla Guardia di finanza di Pavia, relative al rinvenimento di 81.000 tonnellate di rifiuti, di natura prevalentemente pericolosa, provenienti dal settentrione e dall’estero, che venivano stoccati abusivamente tra Lazio e Lombardia (…) Le indagini e le vicende giudiziarie sin qui riportate danno, infatti, conferma delle grandi dimensioni raggiunte dal fenomeno di pene- trazione della criminalità organizzata nel business dei rifiuti, ed in particolare della presenza di clan camorristici, come quello dei casalesi, operanti in stretto collegamento con le società locali di settore».

Nove episodi sospetti, l’interrogazione di Pecoraro Scanio nel 1997
Tre mesi prima che la Commissione parlamentare d’inchiesta giungesse a Frosinone per approfondire lo stato della gestione rifiuti e i problemi che da più parti venivano segnalati, era stato l’allora onorevole Alfonso Pecoraro Scanio dei Verdi a lanciare un primo allarme per l’ambiente in Ciociaria. Lo aveva fatto con un’interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel suo atto ispettivo, l’onorevole scrive: «La stampa, sia locale che nazionale, riferisce sia di gravi episodi dovuti a responsabilità di privati, operatori economici e non, sia di fatti che vedono coinvolte poco accorte pubbliche amministrazioni, sia di avvenimenti la cui gravità induce gli inquirenti ad indagare negli ambiti propri delle grandi organizzazioni criminose; a vari episodi riguardanti corsi d’acqua (versamento di sostanze chimiche nel fiume Melfa con distruzione di tutta la fauna nel tratto Picinisco-Atina; versamento di sostanze di ignota provenienza nel fiume Gari in Cassino con notevole moria di trote; serie impressionante di scarichi incontrollati nel fiume Amaseno ed addirittura deviazione del suo alveo per l’ampliamento di un’area di parcheggio di mezzi meccanici; scarico di fanghi inquinanti in Frosinone a pochi metri dalla stazione di sollevamento per l’alimentazione idrica di parte della città; ruscello di liquami di fognatura dal 1991 scorrente parallelo alla strada statale 82 in Arce per poi finire in un affluente del Liri, si sono aggiunti il tuttora oscuro incendio, e messa fuori uso, dell’impianto di riciclaggio di Colfelice, cui è conseguita la inevitabile sia pur temporanea riapertura di discariche comunali, ed il rinvenimento di ben otto tonnellate di ossido di zinco, depositate in una cava in Pontecorvo in evidente attesa di illegale sotterramento, episodio riportato per più giorni dalla stampa sia locale che nazionale unitamente a notizie sulle indagini a vasto raggio per esso attivate dagli inquirenti; gli ultimi gravi avvenimenti costituiscono puntuale conferma di quanto già autorevolmente segnalato dal procuratore generale presso la corte d’appello di Roma nel suo intervento alla inaugurazione dell’anno giudiziario in corso, e da Legambiente nel dettagliato dossier presentato all’inizio di quest’anno alla presenza del Ministro dell’ambiente e del procuratore nazionale antimafia, segnalazioni facenti ambedue allarmato riferimento alla “ecomafia” ed alla sua penetrazione proprio nel sud del frusinate». Ancora Pecoraro Scanio ricordava la notizia del 16 luglio 1997 «del ritrovamento di duecento chili di scorie abbandonati ad Arpino (località Visceluso-Cicchillitto) di dubbia provenienza» chiedendo quindi al Governo «quali azioni si intendano effettuare».

A Patrica, fusti interrati di notte e nessuna verifica
Che l’allarme sulle attività di smaltimento illecito di sostanze pericolose e tossiche in Ciociaria, sia suonato a lungo a vuoto, lo testimonia anche un’altra audizione svolta, sempre nel 1997 e sempre della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Massimo Scalia, che il 27 ottobre ascolta il consigliere regionale Angelo Bonelli che presiede la Commissione criminalità della Regione Lazio.
Al centro dell’audizione c’è il ritrovamento a Patrica di numerosi fusti contenenti sostanze sconosciute ed interrati circa un anno prima. Nonostante la notorietà del fatto, le segnalazioni alle autorità ed agli enti preposti, 12 mesi dopo nessuna denuncia risulta presentata, né la Asl si è mossa per alcun accertamento sul materiale emerso.
Alla Commissione Bonelli riferisce di quanto accaduto in un sito che è “un punto di riporto di terra proveniente dai cantieri dell’alta velocità”, quindi è un sito gestito dalla Tav: «Circa un anno fa, due vigili notturni sono stati testimoni oculari di un interramento di bidoni e di sversamento di liquido presumibilmente tossico lungo la strada provinciale n. 11, angolo via Tomacelli, nel comune di Patrica. L’operazione è avvenuta tra l’una e le tre di notte, c’era un escavatore ed il cantiere era stato opportunamente coperto alla visuale con tralicci e teloni verdi. Sono stati rilevati i numeri di targa dei camion, stranieri, provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Croazia. I vigili notturni, immediatamente dopo il fatto, lo hanno comunicato verbalmente alla questura di Frosinone, la quale ha interessato della questione la caserma dei carabinieri di Supino. Ad un chilometro di distanza, sono ancora giacenti in via Morolense, strada Asi, circa dieci bidoni dello stesso tipo, che risulterebbero interrati in quel sito integri, pieni di liquido o di materiale di cui non si conosce la natura; l’episodio dovrebbe risalire sempre a circa un anno fa».
Poi Bonelli aggiunge: «Circa sei mesi fa, da quel terreno, non si sa se per la rottura dei bidoni o perché durante la notte vi sono stati ulteriori sversamenti, è scorso lungo la strada materiale tossico bluastro; è intervenuto il sindaco di Patrica insieme con i vigili urbani, mentre la USL, chiamata da me, ha dichiarato di non aver mai fatto sopralluoghi. Ho avuto modo di verificare personalmente che alcuni fusti affiorano; su alcuni vi sono scritte in greco e in inglese. Alcuni sono bidoni di plastica, altri in materiale ferroso. Non risulta che la Asl abbia mai fatto sopralluoghi, mentre il sindaco di Patrica ha fatto un sopralluogo. Su questa situazione non vi sono denunce scritte né alla questura di Frosinone né ai carabinieri di Supino: vi è semplicemente una comunicazione orale fatta dai vigili notturni alla questura di Frosinone, che ha poi interessato per competenza la caserma i carabinieri».

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