Pubblico impiego e pensioni, il diktat dell’Ue


Da La Provincia Quotidiano del 12 giugno 2010

di cesidio vano
L’Unione europea ha imposto all’Italia l’adeguamento dell’età pensionabile delle donne impiegate nella pubblica amministrazione a quella degli uomini. Dal prossimo 2012 tutti andranno a riposo, compiuto il 65° anno. Era un problema di disuguaglianza tra uomo e donna. E l’Ue prontamente è intervenuta. Ma nel Belpaese restano comunque in atto altre “imparità” se non proprio tra i due sessi, sicuramente tra cittadini e cittadini.
Qualcuno, infatti, ha già segnalato il paradosso per cui potrebbero fare eccezione a questo principio di ritrovata uguaglianza, almeno davanti al pensionamento, le dipendenti (ed i dipendenti) proprio di Camera e Senato, i quali, rispondendo alla legislazione interna del Parlamento, viaggiano, appunto, con altre regole: è che regole. Il prossimo 31 luglio, infatti, scadrà il blocco per il pensionamento anticipato fissato dai presidenti Gianfranco Fini e Renato Schifani. Un provvedimento preso della seconda e terza carica dello Stato per dare il via ad una riforma all’interno del Palazzo che contribuisca al sacrificio chiesto agli altri lavoratori. Finora, però, novità sostanziali non ci sono e tutto rischia allora, dal 1° agosto, di restare come è. Cioè possibilità di andare in pensione dopo 20 anni di servizio con la possibilità di versare un 2% di contributo annuo rispetto alla retribuzione guadagnando così un anno per ogni quota versata. Con questo meccanismo alcuni dipendenti riescono ad andare in pensione già a 50 anni o poco più.
restando in tema di pensioni e di palazzo, poi, non può non venire in mente le eccezionali condizioni per gli stessi onorevoli: sia parlamentari che consiglieri regionali. Ok, la loro non è una “pensione” vera e propria ma un “vitalizio”, cioè un assegno mensile a cui gli ex parlamentari e consiglieri regionali hanno diritto vita natural durante e possono pure trasferire ai loro eredi. Pura questione nominale, nei fatti, però… Bastano 5 anni di mandato (o anche meno in caso di scioglimento anticipato degli organi assembleari, provvedendo autonomamente a versare i contributi mancanti) e il gioco è fatto.
I deputati il cui mandato parlamentare sia iniziato successivamente alla XIII legislatura del 1996 conseguono il diritto alla pensione al raggiungimento dei 65 anni. L’unico vincolo è quello della contribuzione: devono essere stati fatti versamenti per almeno cinque anni, quelli di una legislatura piena. Così, almeno per l’età pensionabile, gli onorevoli sembrano allineati al resto della cittadinanza. Ma si tratta di un’illusione. Fissato il limite ecco gli sconti. Sì alla pensione a 65 anni ma, attenzione, l’età minima per il vitalizio scende di un anno per ogni ulteriore anno di mandato oltre i cinque. Sino a raggiungere il traguardo dei 60 anni. Ma non è finita. Una gran parte dei deputati risulta eletta prima del 1996. Per loro resta valida la normativa in vigore prima della riforma. E cosa stabilisce questa normativa? Che si ha diritto al vitalizio all’età di 60 anni, riducibili a 50 utilizzando tutti gli anni di mandato accumulati oltre i cinque minimi richiesti. Morale della favola? Con oltre tre legislature, per esempio 20 anni di contributi, si può andare in pensione addirittura sotto i 50 anni.
Ancora più generosi si rivelano i senatori: gli eletti a partire dalla XIV legislatura del 2001 hanno diritto alla pensione solo a 65 anni e a condizione di aver svolto un mandato di cinque anni. Ma si tratta di pura apparenza. Fatta la norma, cominciano le deroghe. Anzitutto, per coloro che hanno conquistato lo scranno prima del 2001, per i quali il privilegio antico di riscuotere il vitalizio a 60 anni con una legislatura, a 55 con due e addirittura a 50 anni dopo tre mandati resta immutato. Ma un trucchetto c’è anche per gli eletti del 2001: quelli che avranno collezionato un secondo mandato potranno anch’essi scendere a 60 anni.
E i consiglieri regionali del Lazio? Per loro la norma è ancora migliore: si ha diritto all’assegno vitalizio dopo 5 anni di mandato ed al compimento del 55 anno di età. Ma si può andare in pensione anche dai 50 anni rinunciato ad un 5% del vitalizio per ogni anno mancate al compimento del 55°. Ovviamente chi è stato consigliere regionale e parlamentare accumula senza problemi i due assegni che per importo sono ancorati all’indennità a cui hanno diritto i colleghi in carica. Ma l’Europa a questo non ha ancora guardato o quantomeno non l’ha ritenuto lesivo delle pari apportunità.

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